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I quattro rischi tech per il consulente

L’intelligenza artificiale, silenziosa, efficiente, integrata ovunque. Nei nostri telefoni, nei motori di ricerca, nei suggerimenti di acquisto, nelle diagnosi mediche, perfino nelle automobili. Un’intelligenza che sembra umana, ma non lo è. O forse lo è troppo.

La cosa interessante è che, ancora prima che esistesse davvero, l’avevamo già immaginata.

In romanzi, film, fumetti, videogiochi. A volte come un incubo distopico, fatto di macchine ribelli e umanità asservita – come in “Matrix” (1999), dove gli esseri umani sono inconsapevolmente soggiogati da un’intelligenza artificiale dominante.

Altre volte come un sogno: menti artificiali che lavorano per noi, ci assistono, ci aiutano a migliorare il mondo – come nel film “Her” (2013), in cui un uomo sviluppa una profonda connessione emotiva con un sistema operativo dotato di intelligenza e sensibilità.

E la realtà? Come spesso accade, sta nel mezzo.

Nel settore bancario e finanziario, l’AI è oggi una delle leve più potenti per trasformare modelli di business, processi e relazioni con la clientela.

Può essere visibile, come nel caso delle chatbot con cui dialoghiamo su siti e app; oppure nascosta, come nei sistemi antifrode che analizzano miliardi di transazioni per riconoscere schemi sospetti. Questi algoritmi apprendono dall’esperienza, migliorano nel tempo e sono capaci di prendere decisioni sempre più sofisticate.

Per i consulenti finanziari, l’AI rappresenta uno strumento strategico: permette di offrire servizi più economici, veloci e flessibili. La clientela, a sua volta, può ricevere consigli personalizzati, accedere a report dettagliati, monitorare investimenti, comprare o vendere prodotti in modo semplice e guidato. Ma l’AI non sostituisce l’intuizione umana, la affianca. Un consulente “potenziato” può dedicarsi alla relazione, all’ascolto, alla comprensione di bisogni complessi – lasciando alle macchine l’elaborazione dei dati.
Come ogni grande innovazione, anche l’AI porta con sé rischi da tenere sotto controllo. Possiamo ricondurli a quattro categorie principali:

Bias (pregiudizi): gli algoritmi possono incorporare e amplificare distorsioni presenti nei dati su cui sono addestrati. Questo può portare a decisioni discriminatorie, ad esempio nell’assegnazione di un prestito, compromettendo l’equità dei processi.

Darkness (opacità): il funzionamento di molti sistemi AI, soprattutto quelli basati su deep learning, è poco comprensibile anche per gli sviluppatori stessi. Questa “scatola nera” (black box) rende difficile spiegare perché una certa decisione sia stata presa – un problema critico quando si tratta della fiducia del cliente e della possibilità di contestare valutazioni automatiche.

Governance (assenza di responsabilità chiara): la governance dell’AI deve prevedere strutture di supervisione e attribuzione delle responsabilità giuridiche, etiche e operative, per evitare che la tecnologia diventi un alibi per sottrarsi al controllo umano.

Fake news e manipolazione dell’informazione: l’AI può generare testi, video e audio sintetici altamente realistici. In ambito finanziario, questa capacità può essere sfruttata per manipolare i mercati o diffondere notizie false, generando instabilità, sfiducia e rischi reputazionali gravi.

 

In sintesi, l’AI può potenziare il settore finanziario come mai prima d’ora. Ma affinché diventi un “alleato” e non una “minaccia”, servono visione, trasparenza, etica e responsabilità. Perché, come ci ha insegnato la fantascienza, non è la macchina a fare paura, ma ciò che decidiamo di farne.

L’intelligenza dell’altro può diventare uno specchio: ci mostra chi siamo e dove vogliamo andare. Comprenderla, accompagnarla, guidarla: è questo il vero compito dell’uomo.


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